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DE MARTINO, QUELL’IDEA DI <<EGUAGLIANZA E DI LIBERTÀ POSSIBILE>>
Por
LUIGI LABRUNA
Revista General de Derecho Romano 26 (2016)
Un <<bravo!>> stavolta se l’è finalmente meritato il sindaco De Magistris. E, con lui, l’assessore alla Cultura Nino Daniele. Entrambi si sono adoperati affinché fosse accolto l’invito rivolto al Comune da cittadini, colleghi, compagni di Francesco De Martino di onorarne il ricordo intitolandogli, a circa tre lustri dalla morte, uno spazio pubblico della nostra (e sua) città. Stamane alle 12, nel piccolo slargo antistante il palazzetto di via Aniello Falcone, ove, al secondo piano, egli ha vissuto per mezzo secolo in affitto, con la famiglia, tra i libri e i canarini, al cospetto di un golfo e di una città un tempo splendidi ora irrimediabilmente deturpati, sarà apposta una targa stradale con, sotto il suo nome, la scritta <<giurista, storico, statista>>.
Il Professore è stato tutto questo e anche molto di più. Esponente di spicco del Partito d’Azione negli anni ’40, organizzava nella clandestinità le file della Resistenza a Napoli, città che è stata sempre al centro della sua attività politica e del suo insegnamento. Dopo la fine di quel piccolo partito aderì, come tanti altri azionisti, al partito socialista, di cui ben presto divenne, con Nenni, una delle figure più rappresentative, contribuendo alla sua evoluzione in senso autonomistico. Del Psi fu segretario politico una prima volta dal 1963 al 1969 e una seconda dal 1972 al 1976, anni in cui promosse la politica <<degli equilibri più avanzati>>, vòlta a coinvolgere nel governo del Paese – nel quadro di una alleanza con la sinistra Dc e le parti progressiste del pensiero laico –, l’intera sinistra, dalle componenti liberaldemocratiche ai comunisti. La débâcle del Psi alle elezioni politiche del ’76 e la successiva <<rivolta dei quarantenni>> all’Hotel Midas, lo costrinsero a lasciare la guida del partito su cui si affermò l’egemonia di Bettino Craxi e del craxismo a cui De Martino attribuì lucidamente quella <<mutazione genetica>> del Psi (e non solo) che concorse in modo decisivo a determinare le vicende drammatiche che provocarono la fine della <<prima Repubblica>>.
Con la sua forte autorità morale il Professore ha rappresentato, in momenti estremamente difficili, un punto di riferimento sicuro per molti democratici. Uomo di partito e di Governo di indiscussa integrità personale e di salda fedeltà ai valori della libertà e della democrazia, fu vice presidente del Consiglio dal ’68 al ’72 nel I e III governo Rumor e nel Gabinetto Colombo. Eletto in Parlamento qui a Napoli sin dalla prima legislatura repubblicana, mantenne sempre stretti contatti con la base e con le sezioni napoletane del Psi, e poi anche del Pci quando fu candidato unico al Senato dei due partiti. Nel 1971 fu votato da tutta la sinistra nelle elezioni per la presidenza della Repubblica che si conclusero con la elezione di Giovanni Leone. Non il suo insegnamento morale e politico, ma la sua attività tra le prime file della politica nazionale fu di fatto stroncata, nel pieno degli <<anni di piombo>>, dall’ancor oggi misterioso rapimento del figlio Guido.
Ultimo patriarca del socialismo italiano, nominato senatore a vita da Cossiga nel 1991, non cessò mai di teorizzare una politica in cui tutte le forze progressiste fossero capaci di rinnovarsi e lavorare insieme per realizzare quello che non si stancava di indicare come loro còmpito essenziale: <<difendere i deboli>>, lottare per <<conquistare per tutti il massimo di uguaglianza e di libertà possibile>> nella consapevolezza <<che i limiti derivanti dalle condizioni economiche-sociali potranno essere rimossi, almeno in parte, mentre rimarranno quelli della natura umana, del mistero della vita e della morte, del rapporto con la natura e la scarsità delle risorse>>.
<<Maestro di vita morale e di vita scientifica insieme>>, De Martino ha intrecciato nella sua esistenza, rigorosamente rispettandone sempre le reciproche specificità, in una straordinaria limpidezza di sentire, le sue visioni e il suo impegno politico con l’incessante attività storiografica, che gli ha fatto acquistare nella comunità scientifica internazionale degli storici e antichisti un prestigio universalmente riconosciuto e consolidato, al punto da esser a ragione affiancato al grande Theodor Mommsen per la sua fondamentale Storia della costituzione romana. Intesa questa – in una prospettiva in cui la storia del diritto si intreccia strettamente con la storia dell’economia e della società e <<contribuisce a ricomporre l’unità del processo storico>> – non solo come storia delle forme giuridiche ma, ad un tempo, come <<storia del potere, quindi della classe di governo>> e degli uomini che la compongono. Uomini – ammoniva – che è sempre <<un errore strappare alla loro condizione reale>> e considerare <<figure ideali, ombre e fantasmi fuori del tempo>>. Di qui l’esigenza di indagare in che misura le forme istituzionali hanno influito sulla vita economica e sociale di una determinata comunità e viceversa. Cosa che ha magistralmente fatto poi anche nella fondamentale Storia economica di Roma antica e nei tanti altri saggi storico-giuridici con i quali ha contribuito, da innovatore, alla rifondazione della scienza antichistica nella seconda metà del XX secolo.
Dei tanti suoi scritti di carattere più propriamente politico (molti su <<Mondo Operaio, le rivista di cui a lungo orientò il lavoro) non possono non ricordarsi qui almeno quelli in cui, valutando l’apporto del pensiero gramsciano all’inquadramento teorico e storico della <<questione meridionale>>, ne tracciò le vicende attraverso la storia delle sinistre, che <<tanto hanno dato (dalla prospettiva dell’operaismo come da quella di una raffinata intellettualità) alla vita civile e politica>> della nostra comunità cittadina.
Allievo nella nostra Università di due grandi romanisti, il socialista Siro Solazzi e il liberale Vincenzo Arangio-Ruiz, ai quali si ricongiunge oggi nello <<stradario di Napoli>> (nel quale spero possa essere presto affiancato da due altri grandi giuristi, più o meno della sua generazione, che hanno anch’essi illustrato la nostra città, Antonio Guarino e Guido Capozzi), De Martino con il suo insegnamento e le sue ricerche scientifiche, ispirate al marxismo ma immuni dalle rigidità e dagli schematismi perversi presenti nelle opere di tanti <<intellettuali di sinistra>> conformisti, ha formato generazioni di giuristi e, in particolare di storici del diritto romano, alcuni dei quali (egli scrisse) <<si sono affermati come studiosi di alto valore e originalità e docenti>>.
Il primo fra questi, Franco Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale, intervenendo stamane alla cerimonia ne traccerà brevemente il profilo ad uso soprattutto dei giovani che non hanno avuto la ventura di conoscerlo in questo inizio di secolo <<che si annuncia – mi scrisse nel 2001 – in modo tragico e in modo imprevedibile travolge non solo la pace, ma anche regole morali e giuridiche, alcune delle quali risalgono all’antichità…>>. Aggiungendo l’auspicio che i giuristi riuscissero con il loro lavoro a garantire <<i valori della tradizione, che hanno concorso a rendere più alto il livello della civiltà, ed insieme a creare un ordine più stabile e i mezzi tecnici adeguati ai bisogni della nuova economia>>, il professor De Martino concludeva: <<accogliete, vi prego, come un augurio, l’espressione profonda di sentimenti di un vecchio studioso, che non ha perso la fiducia nella ragione umana contro l’irrazionale, la violenza e il fanatismo>>.
<<A me – spesso diceva – il futuro interessa molto più del passato. Quello che più mi addolora della vecchiaia è che non potrò mai sapere come andrà a finire…>>. Forse, Professore, per noi vecchi, è meglio così.
[pubblicato ne Il Mattino dell’8 aprile 2016]